Nella vallata del Senio, il tema del Parco Regionale della Vena del gesso romagnola in questi giorni tiene banco. Oggi è un freddo cane e poi si anche messo a nevicare, parco ladro!
Così mi ritrovo a scrivere su questo cavolo di parco l’ennesimo post, il 38° e deve essere un record. Lontano da me la voglia di aizzare nuove polemiche ma cercare, come contributo alla discussione, di mettere in luce una contraddizione di fondo che ha contraddistinto, a mio avviso, l’avvio e la sua costituzione.
Voglio partire da una affermazione che ho sentito spesso nel corso della discussione, che seguo da oltre 20 anni. “Tla me èra, an voi in ciò a spistazè” che tradotto dal dialetto romagnolo: “Non voglio nessuno a calpestare la mia aia”. In questa frase, credo ci stia l’essenza dell’avversione di una parte del mondo agricolo verso il parco. Questo modo di dire racchiude in sé un profondo attaccamento alla terra, che vuol dire attaccamento alla natura, qualcosa che viene da lontano, di ancestrale fatto di duro lavoro, di schiene spezzate, sacrifici, sudore, lotte per possedere quella terra “maledetta” plasmarla, curarla e trasformarla in sopravvivenza, poi in vita dignitosa. E’ racchiuso in questa frase la dignità, l’orgoglio e l’essenza del mondo rurale. E a nessuno può essere permesso di trascurare o ignorare questo aspetto.
Il problema è il grande equivoco che si è costruito attorno a “Tla me èra, an voi in ciò a spistazè”.
Equivoco alimentato da chi era in buona fede, da chi era in malafede perché gli conveniva e da chi per la solita speculazione politica.
La verità fa sempre fatica a farsi strada, ma anche nelle situazioni più complicate a volte trova il sentiero giusto.
E il sentiero giusto, semplice da essere quasi banale, è che il parco non vuole “spistazè” l’aia di nessuno. Vi immaginate oggi nel terzo millennio chi desidera “spistazè” un’aia?
E qui casca l’asino. L’eccessiva e ridondante importanza fino ad ora data al binomio parco agricoltura.
Il tutto allora ci riporta alla domanda centrale, che cosa è il parco e soprattutto questo strumento cosa deve fare?
Così mi ritrovo a scrivere su questo cavolo di parco l’ennesimo post, il 38° e deve essere un record. Lontano da me la voglia di aizzare nuove polemiche ma cercare, come contributo alla discussione, di mettere in luce una contraddizione di fondo che ha contraddistinto, a mio avviso, l’avvio e la sua costituzione.
Voglio partire da una affermazione che ho sentito spesso nel corso della discussione, che seguo da oltre 20 anni. “Tla me èra, an voi in ciò a spistazè” che tradotto dal dialetto romagnolo: “Non voglio nessuno a calpestare la mia aia”. In questa frase, credo ci stia l’essenza dell’avversione di una parte del mondo agricolo verso il parco. Questo modo di dire racchiude in sé un profondo attaccamento alla terra, che vuol dire attaccamento alla natura, qualcosa che viene da lontano, di ancestrale fatto di duro lavoro, di schiene spezzate, sacrifici, sudore, lotte per possedere quella terra “maledetta” plasmarla, curarla e trasformarla in sopravvivenza, poi in vita dignitosa. E’ racchiuso in questa frase la dignità, l’orgoglio e l’essenza del mondo rurale. E a nessuno può essere permesso di trascurare o ignorare questo aspetto.
Il problema è il grande equivoco che si è costruito attorno a “Tla me èra, an voi in ciò a spistazè”.
Equivoco alimentato da chi era in buona fede, da chi era in malafede perché gli conveniva e da chi per la solita speculazione politica.
La verità fa sempre fatica a farsi strada, ma anche nelle situazioni più complicate a volte trova il sentiero giusto.
E il sentiero giusto, semplice da essere quasi banale, è che il parco non vuole “spistazè” l’aia di nessuno. Vi immaginate oggi nel terzo millennio chi desidera “spistazè” un’aia?
E qui casca l’asino. L’eccessiva e ridondante importanza fino ad ora data al binomio parco agricoltura.
Il tutto allora ci riporta alla domanda centrale, che cosa è il parco e soprattutto questo strumento cosa deve fare?
La mancanza di una strategia e di una progettualità compiuta, che esca dai generici annunci, è anch’essa causa del grande equivoco. Mi auguro che il prossimo Comitato di gestione del parco colmi al più presto questa lacuna.
Resto convinto che la missione del Parco, può essere l'elemento centrale, il fulcro, di una strategia di valorizzazione territoriale della collina che, in quanto elemento unificante, di forte visibilità e identità territoriale. Detto questo però siamo ancora al palo di partenza. E’ necessario passare concretamente ai “progetti, investimenti e interventi”.
Lo ripeto, come contributo al dibattito faccio alcune considerazioni. Un'analisi delle nuove esigenze socio culturali che stanno maturando in questi ultimi anni, registrano una “spinta verde" ecologista, gli interessi tematici culturali sembrano consolidare sentimenti collettivi e tendenze culturali non più ristrette a minoranze di gruppi.Il diffondersi di questa "domanda di natura e di cultura" sono i punti di riferimento del target a cui fare riferimento per i progetti futuri del parco. Dobbiamo avere la capacità di costituire un prodotto turistico legato ai valori che il Parco esprime. La Vena del gesso è un scrigno di valori e di risorse naturali e culturali straordinario e unico. E qui voglio fare una precisazione a quanto accennato sopra. Pensare che il Parco regionale della Vena del gesso sia solo agricoltura, tesi prevalente oggi, è un equivoco più o meno voluto, è una stupidaggine, è un approccio che porta ad un binario morto e fallimentare. Dentro lo scrigno della Vena del gesso ci stanno: la conoscenza di un ambiente unico al mondo, la geologia, il carsismo, la speleologia, l’archeologia, la fauna, la flora.Il contenuto dello “scrigno” intercetta bene la nuova domanda turistica "di natura e di cultura". Allora alla domanda quali “progetti, investimenti e interventi” si dovranno fare per il futuro? Creare infrastrutture, punti di eccellenza tematici sul territorio che abbiano la capacità di “vendere i prodotti” dello “scrigno” in un laboratorio di sinergia fra le comunità interessate.
Resto convinto che la missione del Parco, può essere l'elemento centrale, il fulcro, di una strategia di valorizzazione territoriale della collina che, in quanto elemento unificante, di forte visibilità e identità territoriale. Detto questo però siamo ancora al palo di partenza. E’ necessario passare concretamente ai “progetti, investimenti e interventi”.
Lo ripeto, come contributo al dibattito faccio alcune considerazioni. Un'analisi delle nuove esigenze socio culturali che stanno maturando in questi ultimi anni, registrano una “spinta verde" ecologista, gli interessi tematici culturali sembrano consolidare sentimenti collettivi e tendenze culturali non più ristrette a minoranze di gruppi.Il diffondersi di questa "domanda di natura e di cultura" sono i punti di riferimento del target a cui fare riferimento per i progetti futuri del parco. Dobbiamo avere la capacità di costituire un prodotto turistico legato ai valori che il Parco esprime. La Vena del gesso è un scrigno di valori e di risorse naturali e culturali straordinario e unico. E qui voglio fare una precisazione a quanto accennato sopra. Pensare che il Parco regionale della Vena del gesso sia solo agricoltura, tesi prevalente oggi, è un equivoco più o meno voluto, è una stupidaggine, è un approccio che porta ad un binario morto e fallimentare. Dentro lo scrigno della Vena del gesso ci stanno: la conoscenza di un ambiente unico al mondo, la geologia, il carsismo, la speleologia, l’archeologia, la fauna, la flora.Il contenuto dello “scrigno” intercetta bene la nuova domanda turistica "di natura e di cultura". Allora alla domanda quali “progetti, investimenti e interventi” si dovranno fare per il futuro? Creare infrastrutture, punti di eccellenza tematici sul territorio che abbiano la capacità di “vendere i prodotti” dello “scrigno” in un laboratorio di sinergia fra le comunità interessate.
Allora abbiamo bisogno di specialisti, nei vari settori che ci indicano quali sono gli investimenti, le infrastrutture e le iniziative migliori per costruire un sistema di conoscenza di quello che contiene lo “scrigno parco”, ci centri di approfondimento delle tematiche, di fruibilità delle emergenze ambientali, di una sistema di accoglienza, di ristorazione e certo di promozione e valorizzazione dei nostri prodotti agricoli.
Abbiamo bisogno, per fare questo, di una organizzazione snella e capillare fra tutti i soggetti interessati capace di erogare servizi che rappresentano l’asse portante di un tale sistema.
Chiudo scusa perché l’ho fatta troppa lunga e perdonatemi l’incontinenza,.. ve la vendo così.
In questa fase l’agricoltura con il due di coppe ha vinto la partita. Il settore del turismo,
albergatori, ristoratori, agriturismi, commercianti ecc. che hanno l’asse, il tre e il re stanno la stanno perdendo. Il “non vedo, non sento, non parlo” ha sempre prodotto poco. GPS
Abbiamo bisogno, per fare questo, di una organizzazione snella e capillare fra tutti i soggetti interessati capace di erogare servizi che rappresentano l’asse portante di un tale sistema.
Chiudo scusa perché l’ho fatta troppa lunga e perdonatemi l’incontinenza,.. ve la vendo così.
In questa fase l’agricoltura con il due di coppe ha vinto la partita. Il settore del turismo,
albergatori, ristoratori, agriturismi, commercianti ecc. che hanno l’asse, il tre e il re stanno la stanno perdendo. Il “non vedo, non sento, non parlo” ha sempre prodotto poco. GPS
2 commenti:
non posso che condividere
saluti libertari
Noto con piacere che su facebook il gruppo a difesa del parco ha ottenuto grandi consensi...
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