”Se i criteri introdotti con la Finanziaria 2008 comporteranno la "chiusura" della Comunità Montana dell'Appennino Faentino, è volontà del Consiglio dell'ente - condivisa dai Comuni di Brisighella, Casola Valsenio e Riolo Terme - di dare vita all'Unione dei Comuni che assuma la delega delle gestioni associate oggi affidate alla Comunità Montana nonchè le altre funzioni, in particolare in materia agricola, che fanno capo anch'esse alla Comunità Montana. Lo sostiene il documento approvato dal Consiglio della Comunità Montana, che pure rinnova la richiesta dello stralcio dell'art. 13 (quello sulla riorganizzazione e soppressione delle Comunità Montane) della Legge Finanziaria 2008, giudicando quella decisione un errore e un grave danno per le aree collinari e montane della nostra Regione”.
Prendo a pretesto il comunicato della Comunità Montana dell’Appenino Faentino per fare alcune considerazioni.
Credo proprio che sia finita. Se alla Camera non ci sarà la volontà di emendare, in Romagna non resterà nemmeno una comunità montana.
A base del famoso D.d.L (Santagata), almeno così c’è l’hanno venduta, ci stanno i costi della politica e cosa sì intenda per “montanità”, ossia quei benedetti 600 slm.
La prima considerazione, è relativa ai cosiddetti “costi della politica”. Il furore giacobino che anima questi tempi, il più delle volte motivato, ma se non si è razionali, si rischia di sproloquiare su tutto e tutti e molte volte non sapendo neppure di cosa si parli!
Per esempio: “Sono d'accordo completamente. Se è vero che le Comunità Montane spendono l'88 per cento del loro budget in gestione e solamente il 12% viene riservato sui cittadini (Fonte Report) è giusto razionalizzare al massimo ed evitare inutili sprechi” scrive Emanale Conti sul suo Blog, si pensi che Emanale è un consigliere della Comunità Montana, recentemente eletto e rappresentante del Comune di Riolo. Non voglio polemizzare, ma voglio ricordare al nostro Emanale, un vecchio proverbio romagnolo: I giurnél, i scrìv i fùrb e i lezz i patèca.(I giornali sono scritti dai furbi e sono letti dagli sciocchi).
E quando si spara nel mucchio, non ci si prende mai e guarda caso, a finire col culo per terra è quasi sempre il più debole della catena.
Le 355 Comunità Montane italiane costano allo Stato meno di 200 milioni di Euro annui, esattamente 187 (8,5% del loro “volume complessivo d’affari”) che servono per il loro funzionamento; di questi solo 70 (3,5%) sono destinati al pagamento delle indennità dei propri amministratori. Questa spesa contro una massa movimentata fra servizi e investimenti (sia in proprio, come agenzie di sviluppo su scala regionale ed europea, che per conto dei comuni membri) che arriva in un anno a superare i 2 miliardi euro!
In soldini questo cosa vuol dire? Vuol dire, ad esempio sul nostro territorio montano, che è la Comunità Montana che ha realizzato: l’elettrificazione rurale, l’acquedottistica rurale, un sistema di viabilità decente, sia comunale, intervallivo e di strade vicinali con relativa manutenzione. Che ha gestito i boschi, metà del territorio è rappresentato da boschi, gestione vuol dire manutenzione, opere colturali, controlli e relativi interventi idraulica forestale per il corretto scolo delle acque. Se Castelbolognese, da molti anni non si allaga più, non è opera del mago Otelma, ma dal lavoro di gestione corretta del territorio che si fa a monte.
Si pensi alla politica degli invasi per l’agricoltura, al sostegno alle aziende agricole, al comparto vigneti – la nostra comunità montana ha più vigneti che tutta la provincia di Rimini.
Mi fermo qui, ma potrei continuare. Sfido chiunque, ha dimostrare il contrario, che la Comunità Montana, come strumento, è stata determinante nella crescita, nello sviluppo e miglioramento della qualità della vita del nostro mondo rurale.
Accomunare i costi della politica, in modo indiscriminato alle Comunità Montana, la ritengo una porcata che il buon Santagata si poteva risparmiare.
Detto questo è anche vero, che non tutte le Comunità Montane hanno prodotto gli stessi risultati. Sprechi, inefficienze esistono. Le Comunità Montane soffrono, come quasi tutti gli altri enti, dei mali prodotto dal sistema politico istituzionale, oramai alla frutta.
Esempio lampante è stato quello che è successo da noi all’inizio dei questo mandato, l’aver fatto la scelta di quasi raddoppiare i consiglieri e gli assessori è stata un bischerata. Motivata, non tanto da un esigenza di funzionalità dell’ente, ma per soddisfare le esigenze dei partiti che devono sventolare tutti le proprie bandierine. Così operando, hanno reso oggi, quasi indifendibile l’ente. Ma questo succede ovunque, non solo nelle Comunità Montane, basi pensare al Governo Prodi che batte tutti i record di ministri e sottosegretari.
Sul concetto di montanità, per come viene semplificato (meglio si direbbe tagliato con l’accetta) in questo D.d.l; nel senso che se anche fosse ragionevole convenire col fatto che dal 1971 ad oggi si è largheggiato nell’attribuzione del requisito di montanità (utile per ottenere l’accesso a certe provvidenze dedicate), tutto d’un tratto non si può neanche prefigurare una inesorabile strozzatura, la cui unica chiave d’accesso sia la media altimetrica (con l’asticella posta sopra i 600 m.s.l.m.) dei territori candidabili.
Primo perché né in Italia, né in Europa l’altitudine geomorfologica del territorio è mai stata considerata il criterio unico per classificarlo. A questo requisito se ne sono accompagnati (opportunamente) anche altri, di una certa rilevanza, quali le condizioni socio-economiche complessive, i ritardi e gli squilibri nei processi di sviluppo, e cosi via, riassunte nei termini di “zone svantaggiate e depresse”.
L’interpretare la “mondanità” solo col metro e un’altra bischerata, con buona pace del Santagata.
Le campane a morte per le comunità montane romagnole sono oramai suonate, la loro difesa sembra inutile e la fossa se la sono scavata tutta. Ma credo che ci troviamo di fronte al classico caso, con l’acqua spoca si butta anche il bambino.
Infatti il funerale avviene nel silenzio più assoluto. Queste considerazioni vogliono solo cercare spargere qualche briciola di verità.
Comunque vada a finire, a rimetterci saranno le nostre aziende agricole. Eppure tutto tace, non so come l’abbiano raccontata agli agricoltori. Agricoltori, strana gente, fanno le barricate contro il Parco, uno strumento per nuove opportunità per loro e il territorio. E non fanno un grinza quando aboliscono un Ente, che nel bene e nel male li ha affiancati e sostenuti per oltre 30 anni.
Un antico modo di dire recitava: scarpe grosse e il cervello fine.
La signora Gulmina oggi, mi ripete in continuazione: non ci sono più le stagione di una volta.
Ma forse anche… le scarpe e…..i cervelli. GPS
---------------------------------------------------------------------------------
(se ritieni questa notizia interessante puoi votarla su Alice OKNOtizie. Basta andare QUI e cliccare OK)