Nella foto lo stralcio dell’ atto notarile datato 1672 che cita “tre filari di Sangiovese” nel podere Fontanella (Pagnano), in comune di Casola Valsenio. Si tratta del primo documento conosciuto in cui si usa il termine “Sangiovese”
Lunedì mattina 7 aprile Beppe Sangiorgi terrà al Vinitaly 2014 (Salone Internazionale del Vino e dei Distillati di Verona) – padiglione dell’Emilia Romagna - una conferenza sul Sangiovese partendo dal ritrovamento, ad opera di Lucio Donati di Solarolo di un atto notarile del 1672 che cita “tre filari di Sangiovese” nel podere Fontanella di Pagnano, in comune di Casola Valsenio, ma allora in comune di Brisighella. Normalmente in tale periodo nei documenti si citavano vigne e terre vitate, mai il nome dl vitigno. In questo caso però Maria Alpi, vedova di Francesco Santandrea, proprietaria ed abitante del podere Fontanella concede in affitto a don Donato Piancastelli, rettore della vicina parrocchiale di Pagnano, una vigna, riservandosi “tre filari di Sangiovese” posti verso la casa.
La scoperta è di notevole importanza per la storia della viticoltura romagnola e nazionale in quanto si tratta del primo documento conosciuto che cita il termine “Sangiovese” che oggi identifica il vino rappresentativo della produzione enologica romagnola e nazionale. In precedenza si trova solo una citazione attorno al 1600 in Toscana come Sangiogheto e di seguito, ma dopo il 1672, come Sangioeto, Sanzoveto e il più diffuso e radicato Sangioveto.
Un’importanza accresciuta dal fatto che viene citato il vitigno e non il vino, per cui si può desumere con certezza il luogo della coltivazione ed ipotizzare con fondamento una sua presenza antecedente, almeno nella zona, in quanto non impiantato da uno sperimentatore dell’epoca ma da un semplice proprietario agricolo a conferma che nella collina faentina il Sangiovese era coltivato già verso la metà del XVII secolo.
Questo apre nuovi scenari sulla storia della viticoltura in Romagna. La ricerca seguita al ritrovamento del rogito ha portato Sangiorgi ad ipotizzare che il vitigno Sangiovese sia sceso lungo le vallate del Lamone, Senio e Santerno dal crinale dell’Appennino tosco romagnolo dove molto probabilmente era coltivato dai monaci vallombrosani che in quella zona contavano ben quattro monasteri: Moscheta, Susinana, S. Reparata e Crespino.
Dall’area imolese a faentina si è diffuso in tutta la Romagna sempre con il nome Sangiovese e sanzves in dialetto, mentre in Toscana si è continuato a chiamarlo San Zoveto e soprattutto Sangioveto fino ai primi decenni del ‘900. Ciò lascerebbe intendere che il diffondersi e l’affermarsi del nome Sangiovese in molte regioni tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900 non sia solo una questione linguistica ma sottintenda più sostanzialmente l’utilizzazione dei vitigni del Sangiovese romagnolo, rustico e resistente, per il reimpianto dei vigneti dopo l’attacco della fillossera.
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